Recensioni dei film che ho visto al cinema nel 2014
Vincenzo Ambriola
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Still Life
(1 gennaio 2014)
Se la sera apri una scatoletta di tonno, fai tostare una fetta di pane in cassetta, ti versi un bicchiere di
acqua e sbucci una mela, il tutto in rigorosa solitudine, allora potresti aver bisogno delle cure e delle attenzioni
di John May, in un futuro sperabilmente remoto.
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American Hustle - L'apparenza inganna
(8 gennaio 2014)
Truffe, inganni, macchinazioni. Un triangolo di personaggi che si allarga a dismisura fino a diventare
un intreccio a volte incomprensibile. Ritmo serrato e personaggi ben tratteggiati ma totale assenza di
coinvolgimento in una vicenda che suona falsa e artificiosa.
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The Counselor - Il procuratore
(16 gennaio 2014)
Il traffico della droga in Messico è una faccenda seria, molto pericolosa per tutti coloro che
ne sono coinvolti. La violenza, il sadismo, il totale disprezzo per la vita umana sono elementi accettati
con rassegnazione. In questo contesto, Ridley Scott propone un mondo patinato, raffinato, in cui
i trafficanti si lanciano in considerazioni filosofiche e morali, quando non sono impegnati in attività
sessuali di vario genere. Alieno e ingenuo, il nostro eroe americano scopre che la sua avidità non
comprende il cinismo e quando si scontra con la dura realtà piange e singhiozza. Film mediocre, sbilanciato
sulla parte crudele e sessuale dei protagonisti, con una sceneggiatura molto debole.
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Il capitale umano
(17 gennaio 2014)
La tecnica della trama a incastro, con ripetizione di scene da angolature diverse, rende avvincente una storia che,
se raccontata linearmente, sarebbe banale e insipida. Ottime le interpretazioni dei nostri attori italiani,
magistralmente diretti da un Virzì in gran forma creativa. Un film che potrebbe essere ambientato
in qualsiasi parte del mondo occidentale, senza perdere nulla. Una qualità che la maggior parte dei
film di produzione nazionale purtroppo non ha.
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The Wolf of Wall Street
(23 gennaio 2014)
I lupi attaccano la pecora più debole del gregge, lasciando vivere le altre in attesa del prossimo attacco. Le volpi
sgozzano le galline di un pollaio non solo per fame ma per crudeltà. I broker descritti da Martin Scorsese non sono né lupi
né volpi, sono esseri umani che violano il patto sociale di mutua e leale collaborazione, quello che ci fa passeggiare
per le strade la sera senza essere regolarmente aggrediti e derubati. Ma non è solo questo patto ad essere violato, è
la perdita di controllo della propria vita, in un vortice di droga, sesso e alcool, che colpisce in questo
film. DiCaprio ce la mette tutta, e ci riesce alla grande, per mostrare i gesti, le reazioni, le espressioni corporee di
un lupo drogato, assatanato e impaurito. Scorsese ricama abilmente una trama che si potrebbe scrivere su un biglietto del tram, elevando
a personaggi squallidi individui che non meriterebbero niente, in un altro contesto. Insomma, se i lupi abitano e scorrazzano a
Wall Street, forse altri lupi si muovono agilmente a Hollywood.
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Molière in bicicletta
(25 gennaio 2014)
Poche persone vanno al teatro, molte di più vanno al cinema. Ecco perché raccontare il teatro al cinema è
una sfida difficile: la recitazione, il ritmo, i testi sono troppo diversi tra loro e gli spettatori cinematografici fanno
fatica ad apprezzare la differenza. Ma è anche difficile raccontare le vicende di chi il teatro
lo fa, senza cadere nell'autoreferenzialità o nel gigionismo. Questo film
vince, seppur parzialmente, le due sfide, raccontando la storia di due attori che
si accordano per mettere in scena il Misantropo di Molière. Tra prove di memoria,
memorie di vita in comune, corse in bicicletta e immancabili tensioni amorose con
la bella di turno, il film scorre bene e arriva al finale, con relativo
verdetto. Ottima la prova interpretativa di Fabrice Luchini e Lambert Wilson, affiatati e ispirati.
Poco convincente Maya Sansa, improbabile italiana trapiantata in Francia, goffa e legnosa
nella prima parte, più credibile nella seconda. Fuori luogo, invece, la figura secondaria della pornoattrice,
inserita come elemento di contrasto con i due più blasonati attori.
Esterni troppo patinati,
nonostante il tentativo di presentarli romantici nel fuori stagione turistico.
Discutibile la colonna sonora, minimale e caramellosa.
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Nebraska
(29 gennaio 2014)
Non siamo culturalmente e socialmente preparati ad affrontare la vecchiaia, soprattutto adesso che il numero
di anziani è cresciuto a dismisura. Nuove relazioni, nuovi problemi per chi ci arriva e per chi vede
arrivare i propri cari in questa fase difficile della vita. Alexander Payne ci mostra uno spaccato della vita
di una famiglia americana, nella profonda provincia del nord, con il vecchio padre alla ricerca di un premio
che gli permetta di esaudire due antichi desideri, la vecchia madre che non lo vorrebbe più tra i piedi,
i figli che non sanno cosa fare. Più album fotografico che opera cinematografica, con
ampie riprese del paesaggio invernale, delle lunghe e rettilinee highway, dei negozi e dei saloon, con un uso
magistrale del bianco e nero. La colonna sonora, melanconica, batte il ritmo del viaggio verso il Nebraska,
evocando altri tempi, altre vicende, lontane ma ancora presenti nel ricordo di questa generazione di anziani,
sopravvissuta e spaesata, ma sempre pronta a sbranarsi per un pugno di dollari.
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A proposito di Davis
(8 febbraio 2014)
Non guarda mai negli occhi i suoi amici, il suo produttore, il suo pubblico. Solo, nel suo mondo c'è musica,
la sua, quella che suonava con il suo amico, ora non più con lui. Si aggira tra case di amici che lo ospitano,
locali in cui si esibisce per sbarcare il lunario, in una New York fredda e indifferente. Ma la sua solitudine è
una ricerca di attenzioni, di affetto, per il suo essere un uomo e non un cantante folk. Si preoccupa di un gatto che
scappa e non si fa più trovare, delle disavventure di una ex fidanzata, di suo padre, di tutti. E tutti lo considerano
un perdente, uno che non riesce ad azzeccare le mosse banali della vita normale delle persone normali. Ma è la sua musica,
struggente, a tratti aliena, che colpisce e che ricorda le vecchie atmosfere di Dylan e Baez, atmosfere oramai tramontate
se non nei ricordi di chi quegli anni li ha vissuti. Non lo ritengo uno dei migliori film dei fratelli Coen, manca la
tensione narrativa, l'evento che ti fa saltare dalla poltrona del cinema in cui ti aspetti che accada. Mancano i personaggi
secondari, considerati irrilevanti e inutili, in un quadro che vuole solo lui, il nostro solitario, perdente, cantante folk.
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Smetto quando voglio
(12 febbraio 2014)
Dopo le risate, meritate e gustose, qualche riflessione. La disoccupazione dei giovani ricercatori è un problema reale,
ma non a questi livelli. Se è difficile entrare nel mondo della ricerca, per una persona con un ottimo curriculum
c'è molto di meglio che fare il lavapiatti o il benzinaio a nero. Lo spaccio della droga è un'attività
molto pericolosa, in un mondo rigorosamente e spietatamente controllato dalla malavita. Pensare di entrare in questo mondo
senza ricorrere alla violenza è un'eccessiva semplificazione. Sintetizzare droghe chimiche richiede molto
di più di un laboratorio universitario, usato la notte quando non c'è nessuno. Spacciare su larga scala senza
essere intercettati dalla narcotici è impensabile: la polizia può essere distratta ma non fino a questo punto.
Tutto sbagliato, allora? No, è proprio l'assurdità della trama a rendere piacevole questo film, a veicolare temi che,
pur sotto traccia, ne costituiscono l'ossatura ideologica: il crimine non paga o, almeno, non deve pagare;
lo Stato è presente e vigila su di noi, aiutandoci quando ne abbiamo bisogno (ad esempio, con gli assistenti sociali);
la famiglia è importante e viene prima di tutto, specialmente quando sta per nascere un nuovo figlio; l'università
non funziona ma è capace di trasmettere conoscenza e di farla avanzare. Un quadro conformista pieno di luoghi comuni.
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The Monuments Men
(15 febbraio 2014)
In un film d'azione è fondamentale che lo spettatore identifichi i paladini del bene e i cattivi da sconfiggere.
La tensione narrativa scaturisce dalla battaglia tra il bene e il male, con tutte le diverse sfumature che rendono
questo stereotipo ancora attuale e capace di sorprenderci. I cattivi nazisti, e sullo sfondo gli incombenti
cattivi comunisti, sono mostrati nella poco conosciuta attività di razzia di opere d'arte, effettuata su
larga scala in un territorio tra i più ricchi del mondo di cultura, memoria storica, arte. I buoni americani,
oltre che a dedicarsi alla liberazione dell'Europa, si preoccupano di salvaguardare e di recuperare un patrimonio
dell'umanità il cui valore è almeno pari a quello della vita dei soldati coinvolti in questa impresa.
Con queste premesse, George Clooney aveva l'opportunità di imbastire una trama tradizionale e avventurosa su un
tema poco frequentato, per rilanciare il dibattito dei danni collaterali delle guerre, sugli uomini ma anche sulle
cose. Purtroppo il risultato non è all'altezza delle aspettative: una piatta sequenza di piccoli episodi
scollegati tra loro; una carenza di approfondimento dei personaggi, sovente abbozzati e poco incisivi; dialoghi
banali e privi di mordente; una musica dai toni epici ma piatta e monocorde. Su tutto incombe un profondo e
convinto alone di retorica che richiama i documentari Luce, un senso di noia e di leggero imbarazzo per una
rappresentazione che dovrebbe, invece, suscitare nello spettatore sentimenti forti e nobili. Alla fine una
domanda: come ha fatto Clooney a trovare tutti i soldi (e ne devono essere serviti tanti) necessari per produrre
questo film?
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Divergent
(4 aprile 2014)
Siamo nel classico mondo post catastrofe. Come sempre ci sono quelli che girano vestiti da Amish ma anche super tecnologi e baldi
ragazzotti che praticano il parkour da treni in corsa, cantano e corrono tutto il tempo. In questa società faziosa (perché divisa
in fazioni) nascono i divergenti, coloro che stan sospesi, in odore di esclusione. Regna la pace ma cova la voglia di dominare. Su
questa trama affascinante si intrecciano i destini dei due protagonisti, ovviamente divergenti, nel tradizionale schema buoni contro
cattivi. Accettabile nella prima parte che presenta il contesto e l'addestramento degli iniziati, il film diventa scontato e affrettato
nella parte finale di azione. Poco espressiva la protagonista, che non suscita alcuna empatia e non scalda il cuore. Altra tempra quella
esibita da Demi Moore, quando affrontava l'addestramento dei Navy Seal in G.I. Jane.
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Noah
(11 aprile 2014)
Con la sua famiglia Noè vive nutrendosi di bacche, senza uccidere animali. Conosce le erbe medicinali, la storia della sua gente e, soprattutto,
è sicuro di operare nel bene e nel segno del Signore. Quando si accorge che l'umanità è condannata, costruisce un'arca per salvare gli innocenti
(tutte le razze animali) ma non la sua razza. Non ci sarà una progenie, per mancanza di donne fertili. Il resto è noto. Su questa storia si inseriscono
altre vicende raccontate nel libro di Enoch, in cui si parla degli Irin, gli angeli caduti dal cielo che si accoppiarono con gli uomini
per generare i Nefilim. Secondo questo libro, considerato apocrifo, le nefandezze commesse da queste creature portarono al Diluvio universale.
Il film, un incrocio tra Il Signore degli anelli e la Bibbia, mescola tutto per ottenere una storia in cui il tema principale è la sopravvivenza
della razza umana, messa a repentaglio per mancanza di femmine fertili. A me ha dato molto fastidio questo aspetto, che domina su tutti gli altri,
lasciati oscuri e misteriosi. Ma, soprattutto, mi ha molto disturbato l'interpretazione in chiave evoluzionista della creazione, dove sembra che
il Creatore faccia evolvere le razze e l'universo secondo quanto accettato dalla scienza moderna. Il creazionismo biblico non prevede alcuna
evoluzione, anzi, la contesta fortemente. Forse per aver posto l'attenzione su questi temi, Darren Aronofsky può essere perdonato per tutto il resto.
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Transcendence
(24 aprile 2014)
Will Caster muore, ma prima di morire la sua mente è scaricata in un calcolatore molto potente. Inizia così il progetto di controllare il mondo
mediante l'appropriazione e il controllo di tutti i calcolatori connessi a Internet. Le nanotecnologie, l'intelligenza artificiale e tant'altro
sono gli strumenti che la mente digitale di Will usa per raggiungere il suo scopo maligno. Debolissimo nella trama e nell'interpretazione dei
personaggi, tutti molto piatti e senza alcun spessore emotivo, il film fallisce miseramente proprio sul concetto stesso di fantascienza:
violare una e una sola regola fisica per costruire una nuova realtà. Se ne vedono, invece, di tutti i colori: super calcolatori che provano
emozioni, ricostruzione di parti del corpo, nanoparticelle che vivono di vita propria, fino ad arrivare al massimo dell'impossibile, la
ricostruzione corporea di Will. Il numero di regole violate è talmente grande da sconcertare lo spettatore, che passa attonito da una
sorpresa all'altra. C'è molta più sana e corretta fantascienza in un film di Walt Disney.
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Gigolò per caso
(3 maggio 2014)
Per rimediare alla cronica mancanza di denaro due amici decidono di buttarsi sul mercato della prostituzione maschile, ottenendo insperati e
lucrosi proventi. Ma la scarsa professionalità di uno dei due, il gigolò, fa sì che una cliente diventi per lui una possibile e auspicabile
fidanzata. Per sapere come la storia va a finire è consigliata la visione di questo film garbato, elegante, spesso ironico, in cui Woody Allen
si esibisce nella parte naturale di ebreo newyorkese e John Turturro in quella del gigolò. Abituati a vedere la prostituzione femminile in azione,
con tutto il relativo cerimoniale, si osserva con imbarazzo e sorpresa questo uomo, normale come potrebbe esserlo uno di noi, affrontare
un ruolo difficile, tutto basato su sguardi, poche parole, movimenti felpati. Un'inversione che ci mostra il mondo dall'altra parte.
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Grand Budapest Hotel
(10 maggio 2014)
Il concierge di un grande albergo eredita da una ricca signora che, tra le altre cose, possiede l'albergo stesso. Ovviamente la famiglia della
signora non approva questa decisione e si affanna per cambiarla. Aiutato da un intelligente fattorino, il nostro eroe vive numerose avventure
in un mondo che sta entrando in guerra, la seconda mondiale. Se la storia è semplice, molto raffinata è la sua narrazione, in un alternarsi di
gag e di performance di alto livello. Niente a che vedere con la maggior parte dei film che si vedono ai nostri giorni. La domanda, quindi, è
legittima: perché piace così tanto?
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Grace di Monaco
(17 maggio 2014)
Grace Kelly, nel pieno della sua carriera di attrice, sposa Ranieri di Monaco e diventa la principessa di uno dei più antichi regni europei.
Sono gli anni in cui il Principato inizia a uscire dalla povertà, accogliendo i capitali e le rendite francesi, alla ricerca di un paradiso
fiscale non troppo lontano da casa e piacevole da frequentare. De Gaulle intuisce gli aspetti negativi, per la Francia, di questo progetto e
minaccia l'invasione. Grace esce dal suo ruolo di attrice e, finalmente, si mobilita per salvare il casato e il futuro dei suoi figli.
Il resto è storia. Su quesa trama, lineare e fluida, si innesta la rappresentazione della figura di Grace Kelly, la principessa americana
tanto amata dai monegaschi, per la bellezza ma anche per la sincerità e la spontaneità dei modi, così lontani dal rigido
protocollo regale. Ma invece il film inciampa e annega in un mare di retorica e di dolciastro manierismo, in bilico tra il cliché
dell'imperatrice Sissi e quello dei tanti film americani, in stile anni '50. E con il film annega lo spettatore, anestetizzato dagli
ossessivi primi piani della bella Kidman e dalla soporifera colonna musicale, in stile messa cantata.
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Le meraviglie
(22 maggio 2014)
Nella campagna tra il Lazio e la Toscana vive una famiglia, un po' allargata e molto alternativa, che si dedica all'apicoltura in un vecchio casale.
Il padre, tedesco, è il centro di questa famiglia, circondato da quattro figlie, una moglie e una terza donna, tutte che subiscono il suo
carattere rude, irritabile, affascinate dal suo modo di interagire con la natura. Ma poi arrivano un ragazzo e un'occasione che potrebbe
risollevare le precarie condizioni economiche della famiglia. L'incanto si rompe e si apre un nuovo capitolo della loro vita. Un film calligrafico,
dominato dalla recitazione naturale e spontanea delle bambine che ci mostrano il mondo degli adulti in una chiave di responsabilità
ma anche di gioco, inconsapevoli delle trame che governano la loro esistenza ma attivamente partecipi e, a volte, critiche. Il tema del
rapporto della figlia maggiore, Gelsomina, con il padre poteva essere più approfondito, senza lasciarlo alle immagini e all'immaginazione
dello spettatore. Ma, si sa, è questa la cifra del cinema d'autore italiano contemporaneo, ermetico ed evocativo, raramente esplicito.
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Le week end
(16 giugno 2014)
Una coppia di quasi pensionati inglesi decide di trascorrere un week end a Parigi, per festeggiare il trentesimo anniversario delle loro nozze.
Dopo un inizio disastroso, la stanza prenotata non è all'altezza dei festeggiamenti, trovano alloggio in un albergo di lusso dove iniziano a
ripercorrere la loro vita coniugale, tra battute acide e commenti a volta surreali. Dopo aver incontrato un ex alunno di lui, professore
universitario di filosofia, ricevono un invito a una festa nella quale parlano della loro vita e della loro infelicità. L'avventura parigina
si conclude con un brusco rientro nella realtà, da scoprire vedendo il film.
Spot pubblicitario per Parigi, film per spettatori anziani con una recitazione a tratti teatrale, non convince per la superficialità dei dialoghi
e la ovvietà delle situazioni anche se a sprazzi cattura l'interesse e induce a qualche riflessione. Resta il dubbio che dietro la maschera
di due anziani e litigiosi coniugi si nascondano due incalliti mentitori, realmente incapaci di provare sentimenti di amore e affetto. Ma
questa è un'impressione molto personale.
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Synecdoche, New York
(19 giugno 2014)
La vita di Caden, un affermato regista teatrale, è sconvolta dall'abbandono della moglie e della figlia che si trasferiscono a Berlino.
Inizia così un calvario scandito da malattie vere e immaginarie, relazioni affettive accettate e vissute senza entusiasmo. Il tutto all'interno
di un grandioso progetto teatrale che si protrae per un ventennio, senza mai andare in scena. I temi affrontati in questo film da Kaufman sono
numerosi: la depressione, il rapporto con la morte e con il corpo, la schizofrenia e l'ossessione ripetitiva, lo stesso concetto di cinema e
di teatro. Colpisce la costruzione logica della trama, con l'iniziale replica dei personaggi reali con attori che li interpretano, con il
successivo scambio tra attori e personaggi, fino ad arrivare all'eliminazione della realtà a favore della finzione. Un processo estremizzato,
certamente, che riprende il tema dell'estraneazione e dell'abbandono, in una società che sempre più predilige gli avatar, le proiezioni virtuali
nelle reti sociali, l'interazione remota a quella diretta. Girato nel 2008, quando questi fenomeni erano allo stato embrionale, Synecdoche
anticipa la sostituzione di una parte della persona (virtuale) con il tutto (fisico e spirituale).
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The Giver - Il mondo di Jonas
(13 settembre 2014)
In una comunità isolata dal resto del mondo, in cui gli umani sono deprivati dalle emozioni e dai sentimenti e razionalmente suddivisi
per ruoli e compiti, colui che deve accogliere i ricordi del passato per guidare le decisioni degli anziani non accetta il patto del silenzio
e svela l'arcano. La sua evasione libera la comunità da questo stato di asservimento. Un altro film sulle comunità chiuse e sul loro
controllo totalizzante da parte della tecnologia, in un tentativo di trasferire a qualcosa di esterno, quasi alieno, la naturale tendenza
della razza umana a vivere in società organizzate. Jonas scopre i sentimenti e, con essi, la violenza ma anche l'amore, ricomponendo
il suo lato razionale con quello emotivo e onirico. Il tocco leggero di Philip Noyce, l'uso calibrato del bianco e nero e del colore, ci fa
entrare subdolamente in uno stato d'animo in cui reagiamo d'istinto quando assistiamo a un contatto fisico (proibito) e a un bacio (sconosciuto).
Forza della suggestione.
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Un ragazzo d'oro
(19 settembre 2014)
La morte del padre riapre ferite temporaneamente chiuse dagli psicofarmaci. La scoperta che si sia trattato di un suicidio attiva nel figlio
il desiderio di conoscerlo meglio, rivivendo letteralmente i suoi spazi, le sue manie, il suo lavoro, anche i suoi amori. Ma se le ferite
si riaprono e i sentimenti sgorgano insieme alla vena creativa, il mal sottile si riafferma e si riprende tutto ciò che gli appartiene.
Insieme ai matti il figlio ritrova il suo equilibrio, senza competizione, in una routine piatta ma rassicurante. Film interessante
per il tema del rapporto filiale e dello squilibrio mentale, purtroppo carente nella sceneggiatura e nella recitazione, a volte piatta e scialba.
Una volta tanto perdoniamo Avati per i suoi errori e promuoviamo l'idea e lo spunto che ci ha proposto per riflettere su un tema così delicato.
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Lucy
(27 settembre 2014)
Da più di un secolo gira la voce che l'uomo usa solo il 10% del suo cervello, dopo che William James, nel suo libro "The energies of men"
del 1907 scrisse che "sfruttiamo soltanto una piccola parte delle nostre risorse mentali e fisiche potenziali". È un fatto non dimostrato
scientificamente che Luc Besson ha voluto usare come spunto per questo film, a metà tra la fiction e la fantascienza. Niente di male a
usare un argomento parascientifico per costruire una storia fantacientifica, è la regola d'oro di questo genere. Ma in Lucy la ricetta
non funziona: da una parte lei (una splendida e ispiratissima Scarlett Johansson) che diventa sempre più potente, dall'altra lui
(Morgan Freeman) che tiene un seminario sulla vita e sulla neurofisica, sullo sfondo i cattivi che sparano all'impazzata. Il risultato è
un film formalmente corretto ma che purtroppo non appassiona, non diverte e, a tratti, annoia e disturba.
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Perez.
(2 ottobre 2014)
Perez è un avvocato d'ufficio. Difende chi non ha soldi, immigrati, ladruncoli, poveri cristi. La sua vita si interseca con quella di un camorrista
pentito che lo coinvolge in un losco affare. A complicare la vicenda si aggiunge la figlia Tea, fidanzata con un altro camorrista. Film noir dal forte
coinvolgimento emotivo, girato nel Centro Direzionale di Napoli e a Castel Volturno, colpisce per la nitidezza e la crudezza sia delle immagini che dei
personaggi. Perez non parla e non agisce, subisce la sua storia di debolezze ed errori. I camorristi, al contrario, sono efficienti, operativi, conoscono
i meccanismi e le regole della società, impongono senza pudore la loro cultura e le loro decisioni. A volte muoiono ma si riproducono senza
difficoltà, reclutando anche chi dovrebbe avere delle forti difese etiche. Ottima la recitazione di Zingaretti, capace di comunicare emozioni
anche quando non parla.
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The Equalizer - Il vendicatore
(9 ottobre 2014)
Lui è uno tranquillo, vita metodica, libri e lavoro. Quando picchiano a sangue una ragazza che incontra nel bar in cui passa le sue serate solitarie,
si arrabbia e fa una strage. Western metropolitano, rigorosamente corretto dal punto di vista stilistico, questo film ripropone il conflitto tra il bene e
il male, senza ambiguità o incertezze. Denzel Washington, novello Armonica, insegue i cattivi con lucida determinazione, certo e consapevole
che la sua vendetta personale coincide con la giustizia, sostituendosi e sterminando tutti, anche i poliziotti corrotti che la giustizia l'hanno persa
alleandosi con i cattivi. Dall'altro lato della barricata assistiamo a una reazione scomposta: lo stupore iniziale lentamente diventa rabbia e infine terrore e
impotenza. Il pathos arriva al culmine sul finale, quando il cattivissimo chiede al nostro eroe "ma tu chi sei?". Ma questa è una scena che
abbiamo già visto.
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The Judge
(25 ottobre 2014)
Un ricco avvocato di Chicago dopo quasi vent'anni torna nella città in cui è nato, in Indiana, per la morte della madre.
Dopo un funerale in cui si rende conto di essere nel posto sbagliato, è costretto a restare perché suo padre, un famoso giudice,
è accusato di aver investito una persona con la sua vecchia auto. Vecchie ruggini, rancori mai sopiti, lentamente svaniscono per far
posto a un ritrovato affetto che consente al figlio avvocato di difendere il padre giudice. Bilanciata mistura di storia in tribunale e vicende
familiari, il film mette in luce il rapporto tra un padre duro, perché di solidi principi, e un figlio altrettanto duro ma ribelle e in
carriera. Ma anche il rapporto tra la vita a Chicago, ricca e superficiale, e la vita in provincia, più povera ma ancorata a sentimenti
e valori. Ottima la recitazione dei due Robert (Downey e Duvall) che danno vita a credibili e godibili scontri verbali, confortati da una
mimica e un'espressività di alto livello. Anche la fotografia è molto efficace, in grado di raccontare la provincia americana
senza ricorrere alle solite strade con i pali dell'elettricità o i bar pieni di bulli e pupe.
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La spia - A Most Wanted Man
(31 ottobre 2014)
Un rifugiato ceceno cerca di recuperare i soldi sporchi di sangue che suo padre ha depositato in Germania ad Amburgo. Intercettato casualmente
dai servizi segreti americani sarà usato come esca per incastrare un dottore arabo dedito alla filantropia ma sospettato di finanziare
Al Quaeda. Spy story anomala, senza sesso, violenza, inseguimenti e lusso, centrata sul personaggio dell'agente dei servizi segreti grasso,
depresso, solitario ma acuto e intelligente, splendidamente interpretato da un Philip Seymour Hoffman perfettamente calato nella parte.
È una partita a scacchi giocata per il gusto della mossa, della tattica, sapendo che alla fine sarà sempre il sistema a dare
scacco matto, come già successo a Beirut e chissà dove altro ancora. Nella partita i pedoni sono uomini inermi, disorientati,
deboli, trattati come pericolosi assassini mentre le regine, gli alfieri e le torri sono persone di potere, spavalde, amorali.
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Il mio amico Nanuk
(2 novembre 2014)
Luke è un ragazzino che vive nella regione artica del Canada. Un giorno un'orsa e il suo cucciolo entrano nel garage. L'orsa è catturata
e rispedita a nord del villaggio, il cucciolo viene trovato da Luke che decide di riportarlo dalla madre. Inizia un'avventura tra ghiacci,
animali artici, tempeste improvvise e violente. Il tema della crescita e della scoperta di se stessi è ben affrontato in questo film
diretto da una coppia straordinaria di registi, Brando Quilici e Roger Spottiswoode. La collocazione in un mondo estremo, dove una piccola
distrazione può costare la vita, non impedisce l'emergere di temi universali, legati all'adolescenza e ai drammi familiari, rendendo
la storia leggibile anche in contesti più ordinari. Bellissime le riprese della natura, semplici, eleganti ed espressive. Una menzione a
parte per il cucciolo d'orso, un animale estremamente pericoloso la cui presenza sul set ha richiesto un impressionante lavoro preparatorio,
raccontato nella postfazione dell'omonimo romanzo di Quilici.
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Il sale della terra
(23 novembre 2014)
Un film fatto di foto è una contraddizione in termini. Realizzarlo è stata un'impresa che ha visto l'impegno di due grandi maestri,
Wenders come regista, Salgado come fotografo. Il risultato è notevole e stupisce per la dinamicità delle immagini, spesso mantenute
staticamente sullo schermo per trenta lunghi secondi. Sono quei lunghi secondi che fanno riflettere, mentre la voce narrante fuori campo parla
di ciò che Salgado aveva intenzione di fare, dei suoi stati d'animo, delle riflessioni profonde sull'umanità, troppo spesso disumana,
che ha osservato, studiato, fotografato nel suo interminabile viaggio. La trama è semplice, la vita di un fotografo che decide deliberatamente
di diventarlo, lasciando un lavoro sicuro e una famiglia che lo adorava, per andare dove nessuno osava avventurarsi, non solo per il pericolo
ma per la paura di vedere ciò che non doveva essere visto. Una vita che passa attraverso drammi di cui si è sentito parlare ma che
in pochi hanno veramente conosciuto. Le due ore trascorrono lente, cadenzate da immagini che rapiscono e incatenano, immagini che per fortuna
sono state catturate per sempre a memoria futura.
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Magic in the Moonlight
(6 dicembre 2014)
Un famoso prestigiatore è chiamato in causa per smascherare una giovane veggente che sta imperversando sulla Costa Azzurra,
dove opera insieme a sua madre a danno di facoltosi creduloni. L'abilità della veggente è tale da sconvolgere il prestigiatore
e a fargli rinnegare anni di scientifica scetticismo verso l'arcano, la fede e tutto ciò che non ricade sotto l'ala protettrice
della scienza e della razionalità. Film leggero, recitato sopra le righe, senza slanci emotivi, perfetto nelle ambientazioni
e nella scelta della colonna sonora (jazz, ovviamente), non riesce a suscitare vere emozioni ma una semplice curiosità su come
andrà a finire la vicenda, su quale trucco Woody Allen userà per stupirci. Colin Firth appare a disagio nella parte
del prestigiatore: la mimica facciale tradisce l'estraneità verso il personaggio, le battute che dette da Woody sarebbero
micidiali diventano banali e scontate. Emma Stone, nei panni della veggente, sembra persa e fuori luogo, ingenua quando dovrebbe
sedurre e piatta quando dovrebbe stupire con le sue doti paranormali. Un insuccesso, una caduta di stile? No, è sempre il
vecchio Woody Allen che non rinuncia alle sue idee, alle sue storie, ai suoi paesaggi e alle sue musiche e noi, come topi incantati,
gli andiamo dietro ricordando e sperando di rivedere vecchi successi nel suo ultimo nuovo film.
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L'amore bugiardo - Gone Girl
(21 dicembre 2014)
Lei, affermata scrittrice, scompare. Lui, ex professore universitario senza lavoro, viene incolpato dell'omicidio della moglie scomparsa.
Inizia così, secondo uno schema standard, un thriller che ricorda Fargo (l'investigatrice curiosa, attenta, diffidente) e tanti serial tv.
Ma poi la trama si infittisce, si attorciglia, si contorce in un gioco di specchi complesso e stupendo (nel senso di stupore) trasformando
noi spettatori del film in spettatori delle trasmissioni televisive che parlano del caso, delle indagini, della vita privata dei personaggi.
Televisione nel cinema, cinema nella televisione, un anello mediatico che confonde, turba, coinvolge. Poi, lentamente, la trama si srotola
verso il finale, approfondendo il tema dell'amore bugiardo (pessima e improvvida traduzione del titolo originale Gone Girl, più fedele
sia allo spirito che alle intenzioni di David Fincher). Un amore che nella sua declinazione matrimoniale diventa una gabbia al cui interno
si agitano due felini diffidenti, bugiardi, ma al tempo stesso complici e opportunisti verso il dio denaro e il suo stretto parente, il successo.
Forse è il gatto, placido e silenzioso abitante della casa, il vero protagonista della storia. Lui vede, ascolta, non capisce e tace,
come noi tutti, in fondo.
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Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate
(22 dicembre 2014)
Dopo cinque film, di cui alcuni meravigliosi e stilisticamente innovativi, l'ultimo episodio della saga degli Hobbit è veramente noioso.
Una sequenza continua di finti combattimenti tra zombie che muoiono sempre e nani, elfi e umani che muoiono raramente, anche quando sono
circondati da numerosissimi nemici. Anche la grafica è diventata noiosa e ripetitiva. Va bene che la produzione deve recuperare
gli ingenti investimenti in software fatti per gli episodi precedenti, ma riusare ad libitum gli stessi effetti è veramente sfacciato.
Entrando nel merito del film si nota la mancanza di emozioni, di personaggi veri, di snodi narrativi. Anche il tempo degli Hobbit è finito.
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Jimmy's Hall - Una storia di amore e libertà
(28 dicembre 2014)
Irlanda, anni 30, Jimmy Gralton torna da New York dopo dieci anni di esilio. Vorrebbe evitare la militanza attiva ma i suoi compagni gli
chiedono di riaprire la sala da ballo, centro della vita sociale della piccola comunità locale in cui è nato ed è tornato.
La sua iniziativa trova parecchi nemici, prima fra tutti la chiesa cattolica. Un film che parla del contesto sociale irlandese degli anni 30,
in piena depressione economica, anni in cui essere comunisti era molto pericoloso e rischioso. Jimmy si batte per unire il popolo degli sfruttati,
per dare loro una possibilità di studiare, imparare un mestiere, ballare e divertirsi. La chiesa vede questo attivismo come un nemico
della sua dominanza culturale e sociale, lo bandisce come ateo e comunista, lo isola e lo attacca personalmente, perché solo così
può piegare il movimento popolare che lo segue. Ottima la ricostruzione degli ambienti, sia fisici che culturali, interessanti
anche se non coinvolgenti i dialoghi, spesso centrati sul particolare episodio e non sul contesto irlandese. Debole la recitazione,
senza personaggi che emergono veramente dalla massa. Mi sarei aspettato un impianto più aggressivo e non un resoconto piatto e
senza vere emozioni.