La più avara delle restituzioni

Al lettore dell’edizione online di Haaretz, al’inizio dello scorso giugno, si presentava, appena aperta la pagina, un banner animato che diceva: “NO WAY OUT, NO VISITS, NO HOPE - Even after the disengagement Gaza will remain ... THE WORLD BIGGEST PRISON”(1).
Il riferimento era all’ultimo rapporto congiunto di B’Tselem e di HaMoked dal titolo “One Big Prison”(2). B’Tselem e HaMoked sono due associazioni israeliane per i diritti umani, le stesse con cui la Rete Radiè Resch, nel 1997, ha organizzato in Italia la campagna contro l’espulsione dei cittadini arabi da Gerusalemme.
Gaza, ci spiega il rapporto, a partire dalla “chiusura generale” imposta nel 1993, è diventata sempre di più una grande prigione a cielo aperto. “La sola cosa che manca è l’ispezione la mattina” commentava sarcastico Abu Majid, un palestinese che ha passato 10 anni nelle prigioni israeliane, alla giornalista israeliana Amira Hass nel 1996. Né oggi la situazione è migliorata: “la distanza fra la metafora della striscia di Gaza come prigione e la realtà in cui gli abitanti di Gaza vivono si è rapidamente ridotta dopo lo scoppio dell’intifada nel settembre 2000”, leggiamo nell’introduzione al rapporto delle due associazioni.
Cambierà la situazione dopo il ritiro israeliano? Considerando i dati e l’andamento dei colloqui fra il governo israeliano e l’autorità palestinese, non sembra che ci sia spazio per l’ottimismo.
Con una densità di popolazione vicina ai 4.000 abitanti per chilometro quadrato, la striscia di Gaza rimarrà una delle aree più densamente abitate della terra. L’esercito israeliano manterrà il controllo dei confini, per altro chiusi con un reticolato, incluso, sembra, quello con l’Egitto. Similmente sarà mantenuto il controllo degli accessi via mare e cielo, né sarà permesso ai palestinesi di riattivare l’aereoporto che per un po’ aveva funzionato dopo gli accordi di Oslo. La principale differenza sarà che il controllo interno della popolazione verrà effettuato dalla polizia palestinese, con notevole vantaggio di Israele. Questa per altro è stata una costante della politica israeliana negli ultimi anni: mantenere il controllo dei territori occupati, riducendo le occasioni di frizione e delegando ai palestinesi stessi il compito dell’ordine interno, ovviamente sempre pronti a riassumerlo in proprio se ritenuto necessario(3).
In questa situazione è molto difficile che l’economia di Gaza possa avere lo sviluppo necessario perché le condizioni economiche della popolazione migliorino. Soprattutto se rimarrà la sostanziale separazione tra Gaza e la Cisgiordania.
Oggi, data la difficoltà di ottenere il permesso di transito dalle autorità israeliane, un palestinese di Gaza che voglia recarsi in Cisgiordania è spesso costretto a passare attraverso l’Egitto e la Giordania: si entra in Egitto al posto di confine di Rafah, si va in taxi fino all’aereoporto di el-Arish (o del Cairo), si vola fino ad Amman e poi in taxi si arriva al ponte di Allenby. Anche in questo caso però bisogna avere il permesso israeliano, in aggiunta a quelli egiziano e giordano.
Certo c’è la speranza che dopo il ritiro israeliano da Gaza le cose possano migliorare. L’esperienza del passato non è però molto incoraggiante. Gli accordi del Cairo del 1994 ed il successivo accordo interinale del 1995 prevedevano l’apertura di due vie riservate ai palestinesi fra Gaza e la Cisgiordania. Solo nel 1999 una di queste è stata finalmente aperta per essere chiusa nel settembre dell’anno successivo allo scoppio della seconda intifada. Tuttavia, nel poco tempo in cui è rimasta aperta, le difficoltà ai passaggi rimenevano tutte: era necessario comunque un permesso israeliano non facile da ottenere. Spesso il passaggio era permesso solamente in autobus scortati dai militari e migliaia di palestinesi erano classificati come “absolutely forbidden”: per loro era impossibile ottenere il permesso.
Concludendo la sua storia del sionismo(4) il rabbino David Goldberg afferma che “essendo [ormai] impossibile una soluzione giusta [al conflitto israelo-palestinese], solamente la più generosa restituzione agli spossessati potrebbe cominciare a compensarli per l’ingiustizia fatta loro”. Purtroppo quella che ha in mente Sharon sembra piuttosto “la più avara delle rerstituzioni”.

(1) Nessuna via di uscita, nessuna visita, nessuna speranza - Anche dopo il ritiro Gaza rimarrà ... la più grande prigione del mondo.
(2) http://www.btselem.org/Presentations/Gaza_Prison/Presentation_eng.swf
(3) Leggere a questo proposito il libro di Tanya Reinhart “Distruggere la Palestina - La politica israeliana dopo il 1948”, Marco Tropea Editore, 2004.
(4) “To the promised land - A history of Zionist thought”, Penguin books, 1996.