Democrazia, discriminazioni e
militarismo
«Israele è l’unica democrazia nel medioriente» ci
sentiamo spesso ripetere a giustificazione della necessità di
schierarci in sua difesa.
Questa argomentazione dimentica che nel conflitto
israelo-palestinese una delle parti occupa militarmente il territorio
dell’altra, e così facendo si pone al di fuori della
legalità internazionale. Il fatto che si tratti di una
democrazia è una aggravante piuttosto che una giustificazione:
“corruptio optimi pessima” dice una antica massima filosofica.
Ma questa argomentazione nasconde anche una visione molto schematica
della democrazia. Perché una democrazia sia compiutamente tale
non bastano regolari elezioni. Molte altre condizioni sono necessarie.
Tra esse che nessuno sia discriminato per motivi politici,
religiosi o etnici, ed anche un forte controllo della politica sui
militari. Da questo punto di vista quelle che noi chiamiamo democrazie
sono solo delle approssimazioni più o meno soddisfacenti
dell’idea di democrazia che abbiamo. E certamente Israele non è
tra i paesi più vicini a questa idea.
Proprio in questi giorni, nella stampa israeliana è apparsa la
notizia che d’ora in poi lo Shin Bet (il servizio di sicurezza
israeliano) non avrà più il compito di controllare le
nomine di insegnanti e presidi nelle scuole arabe di Israele. La
notizia ha svelato che per diversi decenni, senza che cosa fosse
ufficiale né regolata dalla legge, lo Shin Bet aveva l’ultima
parola sulle nomine nelle scuole arabe di Israele, e le sue decisioni
non erano soggette ad appello. Che ciò non sia più
è certamente positivo, ma si trattava solamente di uno degli
aspetti della discriminazione del sistema educativo arabo, che rimane
sottofinanziato con una carenza di 1500 aule e 4000 insegnanti.
Notevole potere in Israele ha il Jewish National Fund, che controlla
direttamente il 17% della terra di Israele ed attraverso la Israel Land
Administration gran parte del resto. Fondato nel 1901 per raccogliere
fondi per la redenzione (leggi ebraizzazione) della terra di Israele,
il JNF ha nel suo statuto il divieto di affittare o vendere terra ai
non ebrei. Formalmente privato, è nei fatti un organismo
politico, finanziato con fondi pubblici, che ha svolto un ruolo
fondamentale sia nell’esproprio delle terre arabe che nelle politiche,
basate sulla discriminazione etnica, degli alloggi.
In un articolo sul Haaretz dello scorso 19 dicembre, Gideon Levy,
riportando la notizia dell’iniziativa congiunta del ministero
dell’istruzione e dell’esercito per cui ufficiali saranno assegnati
alle scuole per guidare gli studenti degli ultimi anni fino
all’arruolamento, si chiede: “Cosa farà l’ufficiale con i suoi
studenti? Inculcherà loro i valori dell’occupazione? ... In
quale altro paese del mondo gli ufficiali dell’esercito sono presenti
nelle scuole?”. Eppure la cosa non è nuova. Sullo stesso
giornale, il 30 maggio 2001, Coussin Orna scriveva: «Per anni il
sistema educativo è andato inculcando valori orientati alla
guerra piuttosto che ideali democratici negli studenti
israeliani». È uno dei tanti esempi dell’eccessiva
influenza dei militari nella società israeliana. Un’altra
è la consistente presenza di alti ufficiali ai massimi livelli
del governo; Rabin, Barack e Sharon sono solo gli esempi più
vistosi. Si è parlato di “civilian militarism”.
Yagil Levy, sociologo israeliano ed autore di studi sul militarismo
israeliano, osserva che «L’influenza dell’esercito ha raggiunto
livelli preoccupanti durante l’intifada Al-Aqsa di questo decennio,
quando l’IDF [Israeli Defense Force] ha istigato quello che Shelah
[giornalista del giornale israeliano Yedioth Ahronoth] chiama “un
putsch silenzioso”. Rispondendo ai disordini palestinesi con eccessiva
forza letale, i militari hanno impedito che il governo perseguisse
soluzioni più flessibili».
Il rafforzamento della democrazia Israeliana è una condizione
essenziale per la soluzione del conflitto. Da qui l’importanza di una
critica che vada al di là dei luoghi comuni.