Una lotta comune per la democrazia ed i diritti
Giorgio Gallo
(Giugno 2003)
«Ci sono tutte le condizioni perché il ciclo della
violenza innescato dal fallimento del processo di pace continui e venga
ulteriormente alimentato piuttosto che interrotto». Cosi'
concludevo la mia precedente nota. Purtroppo la sequenza di esecuzioni
mirate ed attentati suicidi delle ultime settimane conferma quanto quel
pessimismo fosse fondato.
Anche le scene viste in televisione, dei coloni che resistono allo
sgombero di alcuni avamposti dei loro insediamenti, dimostrano quanto
sara' difficile solamente iniziare a percorrere questa 'road map' di
cui tanto si e' parlato negli ultimi mesi. E comunque anche se si
riuscisse a percorrerla, essa, come scrive Meron Benvenisti (Haaretz,
19 giugno 2003), porterebbe solamente a "perpetuare lo status quo".
Benvenisti, ex vice di Teddy Kollek, sindaco laburista di Gerusalemme
fra il 1965 ed il 1993, sa bene di cosa parla, avendo per decenni
studiato e raccolto dati sull'occupazione e sui suoi effetti sulla
popolazione palestinese: «apparentemente, il principio di "due
stati per due popoli" ed il principio della sovranita' nazionale hanno
vinto. Ma, in effetti, cio' che viene proposto e' un regime di cantoni
etnici all'interno di una unita' geopolitica comparabile al vecchio Sud
Africa, in cui la connessione tra la terra ed il nazionalismo e' solo
una garanzia per la nazionalita' ebrea dominante».
Quelli che l'esercito israeliano ha cercato di sgombrare sono solamente
alcuni fra quegli avamposti che, insieme alla rete di strade, posti di
controllo, zone industriali ed insediamenti abitativi in continua
espansione, costituiscono quella 'matrice' di controllo che impedira'
allo stato palestinese non solo una vera contiguita' territoriale ma
anche una effettiva sovranita' sul proprio territorio. D'altra parte
Sharon ha spiegato che, quando aveva affermato, sollevando le proteste
degli estremisti, che era necessario por termine all'occupazione, si
riferiva all'occupazione della popolazione non a quella dei territori.
Lo stato palestinese sara' formato da cantoni separati, la cui
'contiguita' territoriale' sara' garantita al massimo da tunnel e
ponti.
la conclusione di Benvenisti e' netta: «una soluzione
basata sulla connessione tra territorio ed identita' etnica - che era
applicabile fino a circa 20 anni fa - non puo' essere realizzata ed
ogni tentativo di farlo complichera' il problema piuttosto che
risolverlo. [...] La 'road map' sara' apparentemente l'ultimo piano a
fare riferimento alla partizione - o alla necessita' di una connessione
fra identita' e territorio - come l'unica soluzione. [...] La sola
scelta rimasta e' fra un regime di una minoranza ebrea su una
maggioranza araba senza diritti civili, o un sistema di governo
multi-culturale, usualmente indicato come "stato binazionale".»
"Holy Land Studies" e' una rivista scientifica dedicata alla Palestina.
Nel suo primo numero, molto bello, pubblicato nel settembre del 2002,
si puo' leggere un interessantissimo articolo di As'ad Ghanem, del
Dipartimento di Scienze Politiche dell'universita' israeliana di Haifa,
proprio sull'idea e sulla possibilita' di uno stato binazionale. Sono
molti gli elementi, secondo l'analisi di Ghanem, che rendono
impossibile la soluzione dei due stati: l'esistenza di problemi che
richiedono un approccio congiunto (acqua, ambiente, porti, mercato del
lavoro, ...), l'esistenza degli insediamenti, realta' ormai
difficilmente eliminabile, Gerusalemme, citta' della quale e'
praticamente impossibile una divisione su base etnica, i rifugiati, che
anche dopo la creazione di un eventuale stato palestinese difficilmente
rinunceranno ai propri diritti, ed infine tutti quegli elementi
mitico-simbolici che renderanno sempre provvisoria, almeno agli occhi
degli estremisti delle due parti, la partizione della Palestina in due
stati. L'unica possibile soluzione 'realistica' secondo Ghanem e'
quella di uno stato binazionale in cui rimanga forte e distinta
l'identita' nazionale dei due gruppi. Modelli possibili sono quelli del
Belgio, o l'assetto cantonale della Svizzera. Non c'e' qui lo spazio
per riportare l'analisi e gli argomenti di Ghanem; sono pero'
argomementi solidi e meritevoli di grande attenzione.
Muoversi su questa linea significa naturalmente un radicale cambiamento
di atteggiamento e di prospettiva politica. Significa sostituire alla
lotta per la fine dell'occupazione una lotta per i diritti e la
democrazia che unisca palestinesi ed israeliani, cosi' come nel Sud
Africa la lotta contro l'apartheid fu trasversale. Significa, da parte
delle forze democratiche palestinesi, la denuncia chiara ed
irrevocabile della lotta armata, unico modo per creare consenso e
fiducia nell'opinione pubblica israeliana. Significa che i problemi di
democrazia e diritti di ciascuna delle parti vanno vissuti come
problemi comuni: malgrado la retorica su Israele unico stato
democratico della regione, la democrazia israeliana e' molto imperfetta
ed a rischio, e questo e' anche un problema palestinese. Significa
capacita' di affrontare politicamente e non militarmente gli estremisti
delle due parti (circa il 20% di ciascuna delle due popolazioni)
ed i loro tentativi di fare deragliare qualsiasi negoziato, sapendo che
con essi bisognera' per lungo tempo convivere. Significa infine
prendere coscienza del fatto che una soluzione del conflitto israelo
palestinese non puo' venire dall'esterno, puo' solamente venire
dall'interno dei due popoli, l'israeliano ed il palestinese.