Recensioni dei film che ho visto al cinema nel 2019

Vincenzo Ambriola

  1. Il corriere (13 febbraio 2019)
    Un anziano floricoltore, con seri problemi finanziari, viene contattato e (facilmente) convinto a trasportare droga da una città all'altra, negli States. Come tutte le ciambelle che non sempre riescono con il buco, dopo un po' viene scoperto, arrestato e incriminato. Oltre a trasportare droga il nostro eroe deve risolvere conflitti familiari antichi, che lo hanno allontanato dalla moglie e dalla figlia. Un film che scorre dolcemente, sulle high way americane, sulle note di ballate country e swing jazz, sullo sfondo di paesaggi meravigliosi. Al centro c'è lui, il grande Clint Eastwood, con la sua naturalezza, il suo umorismo e la gran voglia di vivere, nonostante l'età e il mondo che cambia, forse troppo anche per lui. Ho cercato con attenzione e grande cura tracce di un messaggio, di un tema universale, ma alla fine ho trovato solo lui, sempre lui, egoisticamente lui.
  2. Un uomo tranquillo (23 febbraio 2019)
    Un uomo tranquillo vive in Colorado. Quando gli ammazzano il figlio, tranquillamente compie una strage per vendetta. Un film gelido.
  3. Green Book (25 febbraio 2019)
    Cosa succede ad accompagnare un pianista nero nell'America del sud negli anni sessanta? Tanta acclamazione ma anche tanto razzismo. Per fortuna l'accompagnatore è un italiano un po' mafioso, che riesce a proteggere il nostro musicista dagli altri ma anche da se stesso. Un film molto delicato che presenta uno spaccato di una nazione ancora razzista nell'anima, nonostante Martin Luther King.
  4. Gloria Bell (11 marzo 2019)
    A una certa età è difficile trovare l'anima gemella. Gloria Bell ci prova ma ciò che trova è una persona che ha un'altra anima gemella obesa e due figlie, anche loro obese. Alla fine deciderà che è meglio lasciar perdere il candidato e cercarne un altro, sempre con gioia e leggerezza.
  5. I fratelli Sisters (4 maggio 2019)
    La conquista del West è stata fatta da migliaia di disperati che cercavano oro, terra da coltivare, un passato da far dimenticare. Lunghe colonne di carri hanno attraversato le pianure americane per arrivare nella terra promessa, la California. In queste colonne c'erano anche personaggi strani, con idee straordinarie per trovare l'oro o per fondare una nuova società. Alle loro spalle c'erano altri personaggi strani, killer spietati che li inseguivano per rispettare un contratto. Il film racconta tutto questo, sullo sfondo di paesaggi incantati e con la ricostruzione accurata delle new city, dei saloon, della vita delle carovane. Ma anche i killer hanno un'anima, un passato che rode il cuore, ricordi duri che non vengono lavati dal sangue delle loro vittime. Se poi i killer sono due fratelli il cui cognome è sisters, allora la faccenda si complica, i dialoghi diventano più devastanti delle pallottole, le espressioni nascondono sentimenti non proprio assassini. Che dire del loro obiettivo, del loro contratto? Un chimico, un visionario, ma anche un uomo svelto, nelle parole più che nella Colt. Insomma, finalmente uno sguardo nuovo al Far West, ai cow boy, alle sparatorie e alle galoppate selvagge. Un western diversamente tale.
  6. John Wick 3 - Parabellum (17 maggio 2019)
    Tutti danno la caccia a John Wick, ma lui non si fa prendere. Ne ammazza così tanti che alla fine si perde il conto. Ambientato a NewYork (dove piove) e a Casablanca (nella casba) con interni raffinati anche se un po' deco, il tutto accompagnato da una musica accattivante. Un film che si fatica a distinguere da una sessione dei video giochi "sparatutto", tipo Fortnite. Gli aggressori sono sempre con un casco, con il viso coperto da una sciarpa oppure asiatici (tutti uguali). Difficile dispiacersi per la morte di persone di cui non sappiamo assolutamente nulla. I dialoghi sono praticamente inesistenti, spesso in giapponese, in bielorusso, in arabo (tutti sottotitolati), con l'unica funzione di spiegare la ragione della successiva sequenza di spari, coltellate e colpi di kung fu. La trama è minimale e senza alcuna possibilità di essere fraintesa. Nonostante tutto si passano due ore in totale relax: niente temi sentimentali, nessun argomento sociale, niente di niente.
  7. Il traditore (15 giugno 2019)
    La vita e la storia di Tommaso Buscetta, il pentito che con le sue rivelazioni ha permesso allo Stato italiano di condannare parecchie centinaia di mafiosi, molti dei quali all'ergastolo.
  8. Edison - L'uomo che illuminò il mondo (20 luglio 2019)
    La storia di Thomas Edison, della sua perenne guerra con George Westinghouse e il suo rapporto personale con Nikola Tesla. Un film molto elettrizzante.
  9. God Exists, Her Name Is Petrunija (30 luglio 2019)
    Macedonia, Epifania. Una giovane donna infrange un tabù religioso, vincendo una gara di solito dedicata agli uomini. L'evento sconvolge la vita della donna e scatena reazioni violente tra gli abitanti della città macedone. La vediamo lottare per difendere il suo diritto a partecipare a una gara e a vincerla. Vediamo anche una giovane reporter televisiva riprendere le scene di violenza, intervistare uomini e donne, capire che oltre ai riti religiosi c'è un gran bisogno di lavoro. Un film ha una trama serrata, che non dà tregua, che approfondisce le ragioni del conflitto religioso e della crisi economica macedone. Niente di retorico, tutto sembra ripreso dal vero, non recitato ma drammaticamente vissuto. Il finale è commovente e rompe il ritmo incalzante, perché la tradizione dice che chi vince la gara avrà fortuna e, per la giovane donna la fortuna finalmente ci sarà. Un film visto quest'estate in Croazia, in macedone con i sottotitoli in inglese.
  10. Il Signor Diavolo (31 agosto 2019)
    Siamo nel 1952, quasi settant'anni fa. Siamo nella bassa padana, in una campagna fluviale in compagnia di ragazzini che vanno al catechismo, uomini che lavorano duramente, donne silenziose, preti in grande attività. Niente di interessante fino a quando nasce il mostro, il diverso, il posseduto dal diavolo. Le sue azioni sono conosciute da tutti che ne parlano in privato ma ne tacciono in pubblico. Un giorno, poi, accade un fatto inconcepibile in cui un minore, uno dei ragazzini che abbiamo già visto, commette un reato gravissimo. Le indagini non fanno fatica a ricostruire la realtà, a incarcerare il minore e a mandarlo a processo. Ma poi, e qui si ferma la narrazione della storia, dal Ministero di grazia e giustizia qualcuno decide di mandare un ispettore, per approfondire ciò che le indagini hanno rivelato. Pupi Avati è un grande maestro nel ricostruire la realtà degli anni cinquanta. I volti, i vestiti, i luoghi sono quelli reali. La sua maestria si rivela nelle inquadrature, nella gestione attenta degli attori, molti suoi fidati compagni di avventura. Ma è la drammaturgia che non scorre, che si perde per strada in fatti incoerenti tra loro, spiegati troppo ma poco convincenti. E allora lo spettatore perde la sintonia con il maestro, la tensione si allenta, si inizia a intuire qualcosa. Il finale non stupisce e non spaventa, semplicemente chiude in maniera improbabile una storia improbabile. Può un regista così esperto non accorgersi di tutto ciò? Può usare la sua arte per dirigere un film non alla sua altezza? Sì, perché Pupi Avati è un uomo, che segue le sue strade dell'immaginazione e racconta storie che lo appassionano, anche quelle più improbabili.
  11. Il Regno (6 settembre 2019)
    Corruzione spagnola, niente di nuovo che possa appassionare. La trama è standard e prevedibile: un gruppo di politici è coinvolto in loschi traffici, fino a quando un giudice riesce a pizzicarne un paio. Inizia un tormentone in cui tutti cercano di proteggersi, invocando l'omertà e scaricando la colpa sui due colti con le mani nella marmellata. Ma uno dei due non si arrende, continua a trafficare, fino a quando ... I film che parlano di politica sporca attraggono quando i fatti presentati sono veri e la narrazione è un'invenzione. In questo caso non solo i fatti sono un'invenzione ma non se ne capisce neanche la portata. Tutto è in codice, i dialoghi sono cifrati, se ne può solo intuire la drammaticità, dalle facce e dal tono di voce. Niente da dire invece sulla recitazione e sulle riprese: concitate, rapide, taglienti.
  12. Martin Eden (14 settembre 2019)
    Di Martin Eden si sa molto, quasi tutto: marinaio quasi analfabeta; inizia a studiare per amore e a scrivere per passione; dopo essere stato inizialmente rifiutato dal mondo editoriale improvvisamente diventa famoso e ricco; sconvolto da questo capovolgimento sociale perde contatto con il mondo e, alla fine, nuota verso il sole che tramonta. Il film racconta con precisione questa storia, ma cambiandone sia l'ambientazione geografica (Napoli anziché San Francisco) che quella temporale (praticamente tutta la prima parte del secolo scorso). La scelta di inframmezzare la narrazione principale con spezzoni di filmati d'epoca, di cambiare in continuazione le tecniche di ripresa, fa sobbalzare lo spettatore, costringendolo a una continua messa a fuoco di ciò che sta vedendo. Ma è proprio questo sussultare che agisce da filo guida, che permette di capire lo stato d'animo di Martin Eden, quando prende coscienza di un immenso mondo, quello culturale in generale e letterario in particolare, che ignorava. La rabbia che prova per esserne stato escluso e il desiderio di farne parte, di dimostrare a se stesso prima di tutto, e agli altri subito dopo, che ciò che conta è l'individuo e non l'infrastruttura sociale che lo contiene. Sarà la scoperta che questa infrastruttura non ha problemi ad accoglierlo, a renderlo asse portante e, quindi, sua parte integrante, a sconvolgere il nostro Martin Eden. E il film cerca di stare dietro a tutto ciò, presentandoci nella prima parte una Napoli meravigliosa, parlandoci nel suo dialetto, mostrandoci i suoi volti e le sue sofferenze. Nella seconda parte Marcello rompe gli schemi appena costruiti, esagerando la forza espressiva di un bravissimo Marinelli, trasformato in uno zombie accecato dalle droghe, dal successo e da se stesso. E così racconta l'essenza di Martin Eden, che ha voluto imparare a volare ma che è stato bruciato dal sole.
  13. Ad Astra (28 settembre 2019)
    Roy McBride è un veterano dello spazio, dove ha dimostrato di essere in grado di affrontare situazioni molto complesse. In seguito a tempeste cosmiche provenienti da Nettuno, che minacciano l'esistenza umana sulla Terra e sulle sue colonie spaziali, Roy viene chiamato per una missione molto particolare: individuare e distruggere la sorgente di queste tempeste. Ma Roy è anche figlio di un eroe dello spazio, Clifford McBride, che proprio su Nettuno è andato trent'anni prima alla ricerca di intelligenze aliene. La missione del figlio, quindi, si intreccia con quella del padre. Un film molto particolare, che con un ritmo lento affronta con rigore il tema dell'esplorazione spaziale, dei suoi tempi lunghissimi e delle profonde interazioni sulla psiche umana. Lo spazio è un ambiente ostile, non solo per gli incontri imprevisti che si possono verificare, ma per la profondità e la solitudine che lo permea. Un viaggio interplanetario è, giocoforza, un viaggio interiore, durante il quale le tappe fisiche diventano passaggi psicologici. Roy è un uomo forte, psichicamente stabile, ma la sua storia personale lo assale e gli impone di riflettere sulle scelte sue e dei suoi cari. Il rapporto con il padre eroico sarà continuamente messo alla prova volando verso Nettuno, quando molti pezzi di un puzzle mai ricomposto cominceranno a incastrarsi tra loro. Ma se la metafora del viaggio interiore con quello spaziale regge per tutto il film, altri elementi lo indeboliscono fino a renderlo, in alcuni punti, incoerente. Ammirevole è la scenografia, con una resa impeccabile e realistica degli ambienti interni ed esterni. Debole la musica, sempre e solo un accompagnamento dei tormenti di Roy.
  14. Joker (10 ottobre 2019)
    Arthur Fleck, un malato mentale che ride scompostamente quando qualcosa lo coinvolge emotivamente. Fa il clown come lavoro e bada alla mamma quando torna a casa. Subisce continue violenze a causa della sua malattia ma anche perché è un povero clown. Diventerà Joker, il nemico acerrimo di Batman, ma questa è un'altra storia, già vista altrove. Arthur è il male e la causa della sua malignità è l'assenza del bene. Un male incolpevole causato da una società che non gli ha saputo dare amore. Ma se il male è nella società, allora Arthur non è più il male, ma solo il Joker. Arthur è anche folle, o forse è la società a essere folle quando gli nega il bene. Nel film questo tema rimbalza di continuo, spiazzando lo spettatore che non sa più da che parte schierarsi. Anche le scene di furia collettiva mettono in imbarazzo, perché ricordano personaggi che invocano la violenza per affermare le proprie idee. Un'altra follia. Non è folle invece la recitazione di Joaquin Phoenix, lucido nel rappresentare Joker, muovendosi come una marionetta impazzita e ridendo con gli occhi tristi. Un film memorabile che si separa dalla linea narrativa di Batman per farci capire che siamo un po' tutti dei Joker.
  15. Terminator - Destino oscuro (31 ottobre 2019)
    Siamo di nuovo nel passato, l'intelligenza artificiale e la robotica non hanno ancora attaccato l'umanità ma qualcosa cova nel futuro. Le sue uova piovono sulla Terra e rilasciano Terminator a caccia di prede, una storia già vista. Anche questa volta la caccia è rivolta a un umano che nel prossimo futuro combatterà le macchine ribelli e assassine. Centrata su un trio di donne che scappano per mettersi in salvo dall'inarrestabile Terminator, l'ultima produzione di James Cameron, sotto la regia di Tim Miller, è una sequenza infinita di scontri a fuoco, di fughe in macchina, elicottero, aereo militare, fino ad arrivare alla più classica e inevitabile resa dei conti. Tutto sotto gli occhi benevoli di Arnold Schwarzenegger e Linda Hamilton, invecchiati ma sempre lucidi e micidiali. Sesto episodio di una serie oramai sfiancata e priva di idee, non emoziona più con le poche e brevissime scene di battaglia tra le macchine e la resistenza umana e si confonde con un qualsiasi film spara tutto. Una brutta fine, proprio come quella del suo protagonista principale.
  16. L'Ufficiale e la Spia (23 novembre 2019)
    Siamo nel 1894, in Francia. L'ufficiale di artiglieria Alfred Dreyfus viene degradato e mandato alla Guyana francese, nella colonia dell'Isola del Diavolo, a scontare la deportazione perpetua per alto tradimento. Ne uscirà dopo cinque anni per essere processato e condannato di nuovo, questa volta a dieci anni di carcere. Finalmente, nel 1906, sarà riabilitato e reintegrato nell'esercito. La Francia si dividerà e i suoi più grandi protagonisti, tra cui Zola, scenderanno in campo per difendere un innocente ma, soprattutto, ristabilire la verità. Dreyfus era ebreo, in un periodo della storia in cui la loro presenza nell'esercito e nell'amministrazione pubblica era percepita come insopportabile dagli ambienti di destra. Dreyfus era un militare che voleva riconquistare la sua terra natale, l'Alsazia, ceduta vent'anni prima ai tedeschi. Si sentiva francese a pieno titolo e credeva nei valori della patria e dell'onore. Era anche innocente, come i fatti hanno poi dimostrato, con le confessioni di chi aveva costruito le prove false alla base della sua condanna. Tuttavia il film non è sulla vittima ma sul colonnello Georges Picquart che scopre, quasi per caso, che Dreyfus era innocente e che si ostina a far emergere la verità, per ridare onore a quelle forze armate che l'avevano perso in un complotto antisemitico. Polanski racconta una battaglia dura, combattuta tra i vertici più alti dell'Esercito, del Ministero della Guerra, dei Servizi segreti, a colpi di frammenti di lettere intercettate e ricostruite con pazienza certosina, di accordi segreti, di menzogne e sopraffazione. Lo fa con precisione millimetrica, nella ricostruzione degli uffici, delle case, delle strade della fine del diciannovesimo secolo. Anche i dialoghi sono perfettamente ricostruiti, nel tono pomposo e ufficiale dei generali e in quello deferente dei sottoposti. Le facce, i volti, le espressioni ci riportano indietro di cent'anni. Attualissimo è, invece, il tema della discriminazione razziale, della mistificazione d ella verità, del complotto, della cieca violenza e del vile abuso di potere da parte di chi il potere dovrebbe usarlo per il bene della società. Temi che non passano mai di moda, che le tragedie greche avevano già da tempo narrato e che si ripropongono ineluttabilmente. Grazie quindi al grande Polanski, per aver aggiunto un'altra tessera al mosaico della verità.
  17. Un giorno di pioggia a New York (30 novembre 2019)
    Lei è una tipa un po' stranita, vuole intervistare un famoso regista e invece si trova per un giorno nel circo del cinema, inteso come quelli che il cinema lo fanno. Lui è un tipo un po' strano, quando gioca a poker vince sempre, sa suonare e cantare gli standard jazz al pianoforte, cita autori classici di ogni tipo senza sbagliare mai. Sono a Manhattan per un fine settimana sentimentale e, si spera, indimenticabile. Lei viene da Tucson, Arizona, lui è nato a New York, che conosce e vive intensamente. La storia non è importante, perché il vero protagonista è sempre lui, Woody Allen, immancabilmente legato alla sua città, alla sua musica, al suo raffinato senso estetico. Così legato ai suoi cliché da non accorgersi che non ha nulla da dire, nulla da offrire, se non una patina di superficiali banalità. Non bastano due gocce di pioggia e un po' di jazz per fare un buon film, ci vogliono emozioni, ma di quelle vere.

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